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Sembra italiano ma non lo è: la minaccia al Made in Italy

I dati che riguardano il mercato del falso Made in Italy non sono per niente rassicuranti. Oltre alle vere e proprie contraffazioni dei prodotti italiani nel mondo, oggi produttori e consumatori devono fare i conti con un altro fenomeno su scala mondiale. Questa tecnica ingannevole sfrutta il richiamo all’Italia sulla confezione per incentivare la promozione e la vendita al consumatore, spacciando per italiano ciò che non lo è.

Quali conseguenze comporta questa pratica? Ma soprattutto, com’è possibile che i produttori statunitensi possano etichettare come “Tuscan” un olio fatto in California? E infine, come possiamo contrastarlo? In questo articolo trovi le informazioni necessarie per metterti in guardia e alcuni tentativi per cercare di arginarlo, salvaguardando non solo chi acquista ma anche i produttori della nostra penisola.


  1. È contraffazione?
  2. Perché è così dannoso?
  3. Perché è così diffuso?
  4. Chi è a farne le spese?
  5. Com’è possibile contrastarlo?
  6. Come puoi contribuire ad arginarlo?

1. È contraffazione?

Ti è mai capitato di trovare tra gli scaffali di un supermercato all’estero dei prodotti che sembrano italiani, di acquistarli e, una volta consumati, rendersi conto che in realtà non avevano nulla, ma proprio nulla di italiano? Bene, se il richiamo all’Italia ti ha convinto a comprarli sei stato vittima di Italian Sounding. Per poter comprendere esattamente cosa sia questo fenomeno è necessario distinguerlo dalla contraffazione. Un prodotto contraffatto è quello che viola marchi registrati, segni distintivi, loghi, copyright e brevetti, e chi lo mette in commercio può essere perseguito legalmente. Per intenderci, questo è il caso di un produttore che applica sulla confezione di un comune formaggio l’etichetta del Parmigiano Reggiano.

L’Italian Sounding, invece, si caratterizza per l’uso di immagini (come il Colosseo o la Torre di Pisa), colori (come il tricolore), riferimenti geografici (come la scritta Toscana o Napoli) per creare la convinzione nel consumatore di portarsi a casa qualcosa di italiano. Il problema è che molto spesso per la loro produzione non sono state utilizzate materie prime del nostro paese, non sono stati eseguiti processi di produzione in Italia, e non sono state seguite le ricette della nostra tradizione. Insomma, si sfrutta l’assonanza “italiano = genuinità e qualità” per spingere all’acquisto e ingannare i consumatori. Purtroppo, ciò non è considerato un illecito come la contraffazione e, in mancanza di norme di controllo nei Paesi esteri, è davvero difficile poterlo contrastare.

2. Perché è così dannoso?

Diciamolo chiaramente: far passare un articolo per italiano quando non ha niente di italiano, è una truffa. Una truffa che bisogna contrastare perché danneggia non solo le esportazioni del nostro Paese, ma influisce direttamente sulle scelte dei consumatori. Per far capire la dimensione del problema, Coldiretti ha lanciato l’allarme già da tempo e considera che oggi i falsi Made in Italy ammontano a un mercato di oltre 100 miliardi di euro.

Senza un effettivo controllo e norme che tutelano il vero Made in Italy, dunque, questo fenomeno diventa pericoloso e molto dannoso. Acquistare qualcosa pensando che abbia una certa origine e qualità e consumare in realtà qualcos’altro, non è affatto un danno di poco conto.

3. Perché è così diffuso?

Purtroppo, sfruttare l’immagine dell’Italia per incentivare all’acquisto è un pratica ampiamente diffusa e colpisce non solo il settore alimentare. Il motivo è semplice: la potenza del Made in Italy nel mercato globale è davvero notevole in quanto i nostri prodotti alimentari sono amati e apprezzati in tutto il mondo. Il solo fatto di intravedere il tricolore sull’imballaggio di un formaggio o di un insaccato fa venire in mente bontà e qualità.

Sfruttare, dunque, questa assonanza all’immagine dell’Italia è molto facile e ciò favorisce la diffusione di questa pratica. Trarre ingiustamente beneficio dal Made in Italy comporta chiaramente un danno alla nostra economia, soprattutto quella di esportazione. La sua diffusione, quindi, è dovuta dal fatto che non esistono abbastanza controlli e ingannare il consumatore è molto facile.




Alcuni tra i più famosi “Fake Cheeses”, via marketingignorante.it

4. Chi è a farne le spese?

Il fenomeno colpisce in primo luogo i produttori e la rispettiva filiera che cercano di offrire sul mercato il vero Made in Italy, lavorando materie prime della nostra penisola e utilizzando processi produttivi che appartengono al nostro panorama gastronomico e culturale. In parole povere, una buona mozzarella Made in Italy deve essere fatta con una certa qualità di latte e con determinati standard produttivi per ritenersi all’altezza di chiamarsi italiana. E questo, si sa, comporta dei costi.

Quindi, i produttori non possono far fronte alla concorrenza che, abbattendo i costi di produzione con materie prime e processi di scarsa qualità, propone prezzi inferiori. Questo va a influire direttamente sulle esportazioni, in quanto i prodotti faticano a competere col basso prezzo della concorrenza. Inoltre, a subire il danno sono i consumatori finali. Innanzitutto, a cadere nell’inganno sono gli italiani che all’estero vogliono godere di prodotti Made in Italy e si lasciano convincere dal basso prezzo. Inoltre, i consumatori stranieri possono diventare facile preda di raggiri in quanto conoscono poco le caratteristiche del prodotto.

5. Com’è possibile contrastarlo?

Il problema principale nella lotta a questo pratica dannosa è che non è possibile perseguire legalmente gli autori. Per questo motivo, Federalimentare (la Federazione Italiana Dell’Industria Alimentare) ha più volte sottolineato l’importanza di costituire un osservatorio che tenga sotto controllo questo fenomeno. L’unico modo in questo momento che si ha per combatterlo sono le iniziative di carattere informativo, che cercano di “educare” il consumatore straniero su come riconoscere il vero Made in Italy.

Conoscendo le caratteristiche del prodotto, il consumatore può orientarsi meglio nella scelta di cosa acquistare. Di questo si sono fatti carico non solo le istituzioni italiane, in collaborazione con quelle straniere, ma anche le iniziative private che stanno cercando di fare la loro parte. Una di questa è la startup napoletana Authentico che ha sviluppato una app che permette di sapere in tempo reale se un articolo in vendita è realmente italiano (e di segnalarlo in caso non lo fosse) scannerizzando il suo codice a barre.

6. Come puoi contribuire ad arginarlo?

Quello dell’Italian Sounding è un fenomeno che non può più essere ignorato. Le istituzioni dovrebbero farsi carico di predisporre meccanismi di controllo e strumenti per informare i consumatori. Inoltre, tutti noi possiamo fare la nostra parte cercando di diffondere informazioni utili e corrette.

Se vivi all’estero puoi contribuire a contrastare questo fenomeno in due modi. Innanzitutto, cerca sempre di informarti bene su ciò che stai comprando e di acquistare in modo consapevole. Inoltre, cerca di effettuare i tuoi acquisti da rivenditori di cui ti puoi fidare, come il nostro negozio online che offre prodotti alimentari italiani di qualità con spedizione in tutta Europa. Infine, puoi informare le persone che conosci sulle vere caratteristiche del Made in Italy ogni volta che ne hai l’occasione e tentare di influenzare positivamente le scelte di acquisto. Perché si sa, non è l’etichetta a fare il prodotto.

capocollo

A proposito di Italian Sounding... lo sapevi?
L'americano "gabagool" in realtà è il capocollo 😅

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